Se il prezzo ricavato dalla vendita del bene all’asta non è sufficiente a soddisfare tutti i creditori, i debiti residui non si estinguono.  

Il debitore che subisce il pignoramento della casa di proprietà spesso ritiene che, dopo la vendita dell’immobile all’asta, sarà libero da tutti i debiti e ripartirà a vivere tranquillo. Purtroppo non è così. Recentemente, mi ha colpito il caso di due clienti rimasti inermi per tanti anni dopo aver perso la casa all’asta ad un prezzo irrisorio, salvo poi risvegliarsi bruscamente dopo aver ricevuto un atto di pignoramento sul proprio stipendio!
“Ma come è possibile ? mi hanno pignorato il quinto dello stipendio dopo che si sono presi la casa. Non possono farlo, non è giusto.”
Invece è tutto lecito, il creditore ha operato correttamente. Ma andiamo con ordine e vediamo cosa è successo. Mario e Lucia (nomi di fantasia) sono due coniugi che nel 2007, per acquistare la casa di abitazione, stipulano un contratto di mutuo con la banca X. All’inizio riescono facilmente a pagare le rate, ma con il passare del tempo, causa l’arrivo dei figli e l’aumento delle spese, fanno molta fatica, sino a quando interrompono definitivamente il pagamento delle rate. La banca X, constatato l’inadempimento, avvia la procedura esecutiva immobiliare sull’immobile ipotecato e notifica il pignoramento immobiliare. In questa fase sappiamo che la casa è stata valutata dal perito nominato dal tribunale €.200.000,00; il debito con la Banca X ammonta ad €.130.000,00. Mario e Lucia sono relativamente tranquilli, in quanto pensano che al termine della procedura, con il ricavato della vendita, salderanno il debito con la banca e otterranno perfino la somma che residuerà. Iniziano i tentativi di vendita. E qui accade quello che i debitori ignorano. Quasi sempre la vendita dell’immobile non avviene al primo tentativo di vendita, ma solo in seguito a diversi esperimenti. Ad ogni nuovo tentativo di vendita, il prezzo base d’asta viene ribassato sino ad 1/4 (25%) ogni volta e questo fa sì che il prezzo scenda sempre di più. I due coniugi vedono ribassare rapidamente il valore della loro casa.
  • 1° tentativo di vendita : prezzo base €.200.000 (offerta minima €.150.000). Esito : deserta
  • 2° tentativo di vendita : prezzo base €.150.000 (offerta minima €.112.500). Esito : offerta minima €.112.500 aggiudicata
Senza trascendere in tecnicismi, in questa sede basti evidenziare che il processo esecutivo è stato interessato negli ultimi anni da importanti riforme. Il Giudice infatti, ai sensi dell’art. 591 co. 2 c.p.c., come modificato dal decreto legge 3 maggio 2016, n. 59 convertito nella legge 30 giugno 2016, n. 119, fissa “un prezzo base inferiore al precedente fino al limite di un quarto e, dopo il quarto tentativo di vendita andato deserto, fino al limite della metà“. Peraltro, ciascun interessato può partecipare all’asta anche presentando una c.d. offerta minima. In base all’art. 571 c.p.c., come modificato dal D. L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2015, n.132,”l’offerta non è efficace […] se è inferiore di oltre un quarto al prezzo stabilito dall’ordinanza […]“. In altri termini l’offerta minima, per essere efficace, è così determinata: prezzo base – 25%. Ma torniamo al nostro esempio, perchè ancora vi sono delle sorprese. Ovviamente, il creditore procedente Banca X ha dovuto affrontare delle spese per portare avanti la procedura (contributo unificato, fondo spese, spese pubblicità, compenso custode, compenso delegato, compenso avvocato, ecc.). Tutti questi costi vanno in prededuzione ex art. 2770 c.c., nel senso che vengono decurtati dal prezzo ricavato dalla vendita. Nel caso di Mario e Lucia, semplificando al massimo, le spese ammontano ad €.12.500,00. Dunque nel piano di rirparto avremo la seguente situazione: + €.112.500 prezzo ricavato dalla vendita – €.12.500 a titolo di spese in prededuzione = €.100.000 somma disponibile Ecco allora che la Banca X, che vantava un credito originario di €.130.000, ha ottenuto dalla procedura esecutiva solo €.100.000. Dunuque il Giudice dichiarerà l’incapienza per la somma di €.30.000 che la banca non è riuscita a recuperare. A questo punto, la Banca X, anche a  distanza di molti anni, si rifarà viva e cercherà di recuperare la somma aggredendo gli altri beni dei debitori. Nel caso di Mario e Lucia, dipendenti pubblici, la banca X, ha avviato una procedura esecutiva presso terzi, pignorando lo stipendio erogato dal datore di lavoro. Un vicenda certamente non a lieto fine, che avrebbe pouto essere gestita diversamente. Ad esempio, i debitori avrebbero potuto mettere in vendita l’immobile al valore di mercato prima di arrivare al pignoramento e cercare poi un accordo transattivo con la banca. Ancora, i debitori, ricorrendone i presupposti, avrebbero potuto accedere ad una delle procedure disegnate dalla L. 03/2012 (c.d. Legge salva suicidi).

Possibili soluzioni : Accordo con il creditore  

Se a seguito dell’asta è rimasto un debito residuo, in alcuni casi, è possibile evitare ulteriori pignoramenti ma è necessario agire con velocità.

Gestire una posizione debiotria verso una Banca è una attività complessa, servono competenze multidisciplinari ed anni di esperienza.

Ecco perché non dovresti mai affidarti a professionisti, società ed associazioni che non siano specializzati nella a risoluzione di posizioni debitorie.

Altro errore è il fai da te. Se hai posizioni debitorie aperte, prima o poi verrai contattato dal personale delle società di recupero crediti, con telefonate anche dal tono minaccioso e potresti commettere un errore come abbiamo visto in questo articolo.

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